CESARE BRIANI
ANNA: STORIE, FATTI E MISFATTI
SECONDO VOLUME – SULLA VIA DELL’INFERNO
1
Eccomi di nuovo a Venezia per il tradizionale pranzo mensile di famiglia. Con il mio compagno, Aurelio, siamo partiti di buon mattino da Bologna per goderci il più a lungo possibile la giornata veneziana, allietata dal cielo sereno e da un piacevole venticello frizzante.
Sono stata qui anche la settimana scorsa per la periodica rimpatriata con le amiche del liceo, quando ho ritrovato il manoscritto di Lucrezia, la mia antenata.[1] Sono ancora sorpresa e commossa dalla sua storia e dalle scoperte sulla sua vita avventurosa che ho fatto nel viaggio ad Istanbul che ho deciso d’impulso, all’ultimo momento, come del resto la strega Melissa aveva preordinato tre secoli fa (per lo meno così affermano le memorie di Lucrezia e così è stato effettivamente, non posso negarlo).
Le calli e i campielli rigurgitano di turisti che si trascinano a frotte distrutti dalla fatica. Sono costretti, volenti o nolenti, a camminare per lunghi tratti ed a valicare ponti e ponticelli che a lungo andare appaiono come ostacoli quasi insormontabili, malgrado la modesta levatura.
Qualche abitante di Venezia, innervosito dalla calca che si concentra nei punti più panoramici, s’intrufola nervosamente per attraversare gruppi di cinesi stralunati, giapponesi compunti, spagnoli ridanciani, seriosi tedeschi, rumorosi italiani.
Malgrado l’affollamento crescente, avanzando verso il centro verifico con sorpresa che la città è più pulita d’un tempo, non si vedono per terra bottiglie, lattine, cartacce o avanzi di cibo ed anche i numerosi cestini portarifiuti non rigurgitano più d’immondizia come una volta: sarà forse merito del rispetto che incute nei visitatori questa splendida decrepita città o forse, più probabilmente, dei numerosi netturbini che negli ultimi tempi s’incontrano di frequente muniti di carrelli e scope.
Il lugubre palazzo dei miei genitori di certo non induce all’allegria, incute anzi soggezione e tristezza: uno scrostato palazzone del ‘500 con alti soffitti in legno scuro, pareti delle sale di rappresentanza rivestite con funeree stoffe rosso-violacee di metà ‘800 vetuste ma intoccabili, grandi tappeti polverosi, mobili ottocenteschi di gusto estremamente pesante, alle pareti tetri quadri di antenati di cui nessuno ricorda più il nome né tanto meno cos’abbiano fatto, a parte qualche eccezione come quella di Lucrezia. Sarebbe perfetto per il set d’un film horror! Il tutto comunque è estremamente costoso da conservare in discreto stato ed infatti alla sua manutenzione è dedicata la gran parte della pensione di mio padre.
Ci sono anche eccezioni a tanto squallore, ad esempio le camere da letto di noi figli, arredate con mobili moderni, anche se ormai un po’ datati, rivestite con allegre carte da parati a fiori. Anche lo studio di mia madre, pittrice dilettante, ricavato da una soffitta con ampi lucernari, è molto accogliente, mentre il resto delle soffitte ha rappresentato per noi fratelli, da bambini, un terreno infinito di giochi, esplorazioni e scoperte tra le cianfrusaglie accumulate in centinaia d’anni.
La nostra casa sorge in una calle nascosta lunga e stretta ben popolata di pantegane e gatti, impegnati durante la notte in furiosi inseguimenti od in attività sessuali molto rumorose ma che appaiono anche molto appaganti (beati loro!). L’aspetto positivo è il fatto di essere a due passi da Campo Santo Stefano, sempre vivace, forse anche troppo nella bella stagione.
Appena arrivati a casa corro a salutare Lucrezia che mi guarda affettuosa dal quadro appeso nella galleria degli antenati. Voglio averla sempre con me, devo convincere i miei genitori a regalarmi il ritratto, a tutti i costi!
2
Mio padre Alvise De Gritti ha più di settant’anni, da ex Ammiraglio in pensione è il burbero alfiere inflessibile delle tradizioni famigliari, sempre alle prese con la ricostruzione di battaglie navali per il libro dal titolo inequivocabile che sta scrivendo da oltre cinque anni: “Navi e codardi”. La sua recente scoperta di Internet, in cui naviga con insospettabile abilità e disinvoltura, ha dato una forte accelerazione al progetto, forse tra qualche mese ne vedremo la fine, mancano solo altre cento pagine. Evento visto con raccapriccio da tutti i famigliari che temono la più spaventosa delle catastrofi: il suo tempo libero!
Anche mia mamma Giuditta (chiamata Titti in famiglia) si avvicina ai sessantacinque anni ma li porta ancora molto bene, gioca a carte con le amiche, gestisce con disinvoltura un fisico asciutto e scattante, pratica quasi quotidianamente ginnastica in palestra e lunghe (misteriose) passeggiate solitarie con qualunque tempo. Ogni tanto è presa improvvisamente dall’ispirazione creativa, lascia perdere qualunque cosa stia facendo e si precipita a dipingere orribili quadri astratti. Pretende di appenderli in ingresso affinché tutti gli ospiti li vedano e si profondano in complimenti, molto poco spontanei. Ha provato a venderli ma l’offerta massima è arrivata a 15 Euro, neanche il costo della tela e della vernice! Il suo commento lapidario è stato: “La gente non capisce nulla di arte, anche Van Gogh non era apprezzato da vivo, ma da morto … Tra qualche anno avrete in eredità un capitale che vi farà star bene per tutta la vita! Adesso però lasciatemi andare perché mi è venuto in mente il soggetto di un nuovo quadro, fantastico.” S’interessa fino all’eccesso a noi figli, dispensando con determinazione consigli a destra e a manca che somigliano molto ad ordini perentori!
Il suo rapporto con il marito è vivace e dialettico anche perché sono stati spesso separati per lunghi periodi di tempo a causa del suo lavoro ed ora la convivenza a tempo pieno non è sempre ben tollerata da entrambe le parti. Un giorno, quando le ho chiesto perché si fossero sposati avendo caratteri così diversi, la risposta è stata netta: “Quando l’ho visto, gli ho parlato e poco dopo ci siamo baciati mi sono rimescolata tutta dentro. E quando abbiamo fatto l’amore, due giorni dopo, ho capito che non avrei potuto lasciarlo mai più, anche se si intuiva che sarebbe stato un bel rompiballe, come poi si è puntualmente verificato!” Comunque, al di la delle dichiarazioni ufficiali, si sente che sono ancora molto legati e non mi stupirei se la fiamma erotica che li ha uniti fosse ancora accesa e vivace.
E veniamo a me, Anna. Sono un perfetto mix dei miei genitori, volitiva, autoritaria ed integerrima (almeno fino ad oggi, del doman non v’è certezza) come mio padre, romantica, sensibile, estroversa e creativa come mia madre, in fondo niente male! Sono molto soddisfatta della mia carriera, a trentun anni sono già Amministratore Delegato della filiale italiana, a Bologna, della Carl Sax GmbH che ha la sede principale a Francoforte, in Italia produciamo macchine per l’industria del legno, mentre le altre attività del Gruppo coprono anche diversi altri settori di macchine utensili, dal tessile, alla lavorazione della plastica, alla stampa.
Per raggiungere la posizione lavorativa attuale mi sono data parecchio da fare, laurea in economia con il massimo dei voti, Master, padronanza di alcune lingue, lavori saltuari per fare esperienza durante gli studi. Dopo il Master, grazie alla buona conoscenza del tedesco, ho avuto la fortuna di essere assunta alla Carl Sax in Germania e dopo qualche anno mi sono trasferita a Bologna in sostituzione del direttore generale andato in pensione.
Forse la mia “grinta” nasce anche da un difetto che mi ha afflitto fino alla scuola media e che ho quasi del tutto superato con la forza di volontà: ero perseguitata da una balbuzie che si manifestava in modo particolarmente violento quando mi innervosivo. Si possono facilmente immaginare le prese in giro cui ero sottoposta da parte dei compagni.
Fortunatamente si sono poi verificati due eventi che mi hanno fatto vincere quasi del tutto tale difetto: la cura di un bravo logopedista che mi ha assistito per diversi mesi e soprattutto il pugno liberatorio che ho sferrato con tutte le forze al mento di uno stronzetto di tredici anni, più alto di me di dieci centimetri, che continuava a sfottermi, finché non ci ho visto più! E’ andato per terra lungo disteso battendo la testa, ci ha messo qualche minuto a riprendersi mentre lo insultavo senza alcun accenno di balbuzie! Il Preside ha dovuto sospendermi per tre giorni, anche se si capiva che avrebbe invece voluto darmi una medaglia.
In famiglia si è festeggiata con allegria la mia emancipazione, tanto che quando il padre dello stronzetto è venuto a lamentarsi con l’Ammiraglio minacciando querele è stato buttato fuori di casa in malo modo con colorite parolacce prese dal patrimonio storico letterario veneziano, mai sentite prima da mio padre (el vada in mona lu e quell’ebete visdecazzo del so fiol!).
E così, quasi miracolosamente, ho quasi superato la balbuzie e recuperato il rispetto dei compagni, nessuno ha più osato dir nulla. Qualche volta si manifesta ancora in forma lieve quando qualche evento improvviso mi sorprende o mi stupisce, ma per fortuna molto di rado.
Anche fisicamente non sono per niente male: statura media, capelli biondi, abbastanza tornita malgrado la lotta quotidiana alle calorie, dicono che assomiglio un po’ alla giovane Sharon Stone, magari!
Con i miei fratelli i rapporti sono pressoché inesistenti, anche da ragazzi ognuno faceva vita a sé, tranne che per le escursioni in soffitta. Marcello sempre immerso nei libri, Giuliana presa sovente da crisi mistiche inquinate più o meno consapevolmente da contenuti erotici, mentre io ero quella più nella norma, tra scuola, università, amici e qualche ragazzo di passaggio.
Ho vissuto abbastanza poco con mio padre, sempre in viaggio per lavoro, con lui ho avuto rapporti molto formali, non ho ricordi dell’ultima volta in cui abbiamo parlato in modo confidenziale. Mia madre è invece molto presente nella mia vita, anche se ho la sensazione che le sue attenzioni siano dettate da un senso del dovere più formale che sostanziale. Secondo me le sue priorità sono, nell’ordine: l’Ammiraglio, esser bella e giovanile, i quadri, i nipoti, i figli.
Devo confessare che ho molta difficoltà ad innamorami per davvero sin da quando a quindici anni sono stato coinvolta in un evento traumatico di cui parlerò più avanti, ora non me la sento. Si, è vero, mi sono inaridita ma non dispero di riuscire prima o poi a superare questa maledizione e potermi finalmente innamorare di nuovo. Ciò non toglie che da alcuni anni abbia un compagno, Aurelio, il classico pigro intellettuale, dolce e disponibile, giornalista in un quotidiano. Quella con Aurelio è la prima storia seria che ho avuto, alcuni anni fa sono andata a vivere in casa sua a Bologna, in centro, vicino alle due torri della Garisenda e degli Asinelli.
Mi sono ambientata molto bene, la città è allegra e vivace, le medie dimensioni la rendono vivibile con leggerezza, le persone sono affabili e tolleranti. L’Università, una delle più antiche al mondo, attrae decine di migliaia di studenti da tutti i continenti che le conferiscono un’ulteriore impronta di vitalità, in particolare quando la sera i locali e le piazze si riempiono di ragazzi ansiosi di conoscersi e frequentarsi. D’altra parte non può essere altrimenti, con una frotta di giovani e spensierati studenti, per lo più usciti dalla casa paterna per la prima volta, che rappresentano un’altissima percentuale della popolazione.
Sto bene con Aurelio, abbiamo interessi analoghi, la lettura, il cinema, il teatro, la musica classica, qualche viaggio culturale, anche se ultimamente il rapporto è entrato in una fase di routine senza slanci. Nei primi anni non stavamo mai in silenzio, vi erano continue divagazioni e discussioni su argomenti culturali, politici (lui più estremista, io più riformista), sociali, sull’analisi del nostro rapporto, sugli amici. Da qualche tempo invece siamo entrati in una fase di difficile comunicazione che spesso ci porta a lunghi silenzi imbarazzati, sembra che tra di noi ci sia un fantasma che nessuno dei due ha il coraggio di affrontare. Sarà forse perché non abbiamo voluto figli, anzi sono stata io, presa dalla carriera, a rimandare la decisione e lui si è adeguato senza discutere. Ultimamente lo vedo molto distratto, non facciamo l’amore da almeno un mese, devo trovare il modo di stimolarlo, forse ci vorrebbe un viaggio in qualche posto romantico, magari a Parigi, devo andarci per lavoro tra qualche giorno.
Riflettendoci mi chiedo però se sia giusto insistere con questo rapporto, in fondo mi ci sono adagiata anche per convenienza. Sempre presa da un lavoro impegnativo che mi costringe a frequenti viaggi mi ha fatto molto comodo avere un compagno “stanziale” che presidiasse e gestisse il tetto coniugale. Ma quanto potrà durare? Credo di aver bisogno di una relazione meno impegnativa intellettualmente e più “fisica”, fare assieme sport, viaggi, lunghe passeggiate e …. sesso appagante! Anche se naturalmente non mi può andar bene un cretino tutto muscoli e niente cervello, ci vuole un giusto mix. Oppure, ancor meglio, un colpo di fulmine che mi faccia innamorare perdutamente!
3
“Se pronto in tavola, sbrigheve che se freda.” Annuncia con il solito piglio energico Rita, la cameriera, o meglio la collaboratrice domestica, dei miei genitori. Deve aver preso le maniere di stampo militare da mio padre, dicono che in gioventù fosse una discreta ragazza ma non ha mai voluto sposarsi: chissà, forse l’avrà fatto in quanto segretamente innamorata di lui. Il fatto è che non l’ho mai sentita contraddirlo anche quando aveva palesemente torto mentre con mia madre i battibecchi sono da sempre all’ordine del giorno. Da oltre quarant’anni lavora in casa dei miei, è una persona di famiglia che ha visto nascere tutti i figli e nipoti e li ha accuditi con amore. Malgrado le insistenze dei miei genitori non ha mai voluto pranzare a tavola con noi, nemmeno in occasione delle più importanti festività, si sente a proprio agio in cucina anche perché per natura è un bastian contrario, per principio vorrebbe confutare qualunque nostra affermazione e poiché non potrebbe farlo liberamente preferisce isolarsi nel proprio mondo. Spesso da piccola pranzavo con lei in cucina, ma solo quando mio padre era assente per lavoro, lui non l’avrebbe permesso, i pranzi tutti assieme erano un obbligo inderogabile: allora era considerata una rottura di scatole ma ora penso che avesse ragione, erano l’occasione per confrontarci e ritrovare giornalmente la nostra unità famigliare. Da molto tempo si sente la padrona di casa che deve gestire con pugno di ferro la turba dei suoi ospiti indisciplinati, così ci considera.
Ci dirigiamo senza indugio ai nostri posti, mio padre e Rita non ammettono ritardi. A centro tavola troneggia un’antica zuppiera ricolma di fumanti tortellini in brodo fatti in casa, veramente ottimi anche se forse fuori stagione, visto che siamo a inizio Giugno e fa già caldo.
“Anna, dimmi del lavoro.”
“Così così, papà, la crisi si sente ancora parecchio. Spero molto in quel prototipo di nuova tecnologia di cui ti ho parlato, il Progetto Penelope, quella che ho ideato io per un nuovo materiale per i mobilifici e le apposite macchine utensili, speriamo che funzioni bene perché ci abbiamo investito un sacco di soldi! Se tutto va come deve, sbanchiamo la concorrenza!”
“Ma scusa, le grandi multinazionali americane del settore non hanno già qualcosa di simile? Dovevi arrivare tu, che non sei neanche ingegnere, per inventarla?”
Ecco che mi scatta la maledetta balbuzie, mio padre è una delle poche persone che ci riescono infallibilmente: “B…. B…. Beh, io ho avuto l’idea, l’ho sottoposta alla Direzione tedesca, hanno approvato, poi un nostro team l’ha progettata e la sta realizzando. C…. Comunque, ci stanno lavorando i migliori ricercatori e ingegneri in questo campo, italiani e tedeschi!”
“Sarà!”
Interviene Marcello, mio fratello maggiore, ha sempre avuto un istinto protettivo nei miei confronti: “Papà, guarda che Anna sa bene quello che fa, non è una sprovveduta.”
Mio fratello ha preso tutto da mio padre, lo stesso carattere determinato e inflessibile che esprime nella professione di magistrato con i malcapitati che cadono sotto le sue grinfie. La moglie invece è un essere amorfo, non si capisce cosa pensi, ripete solo le affermazioni del marito, mi fa venire dei nervi che l’ucciderei! I figli, attorno ai dieci anni, sono invece due vere bestie, mai fermi, cacciano con la fionda le pantegane, i piccioni, i gatti e ….. i turisti , esplorano le soffitte, saltano e si azzuffano dappertutto: non so da chi abbiano preso, a meno che Antonietta non abbia qualche lato caratteriale ben nascosto.
“Speriamo – dice mio padre con un’aria rassegnata che mi fa imbestialire - Titti, cosa si mangia dopo?”
“Cosa vuoi che si mangi, se c’è il brodo vuol dire che c’è il lesso con manzo, gallina, cotechino e salsa pearà che te piase tanto, e dopo una torta di mele, te basta o gheto paura de morir de fame?”
“Me basta, che carattere …. “
Come al solito mio padre riesce a farmi venire i nervi, gli bastano dieci minuti per mandarmi di traverso la giornata.
Giuliana interviene: “Anna, ti do questo santino di San Giovanni Nepomuceno, uno dei patroni dei gondolieri, vedrai che proteggerà anche te, devi dire ogni sera tre Avemarie.”
Dicono che Giuliana, mia sorella minore, nata molti anni dopo di me, assomigli fisicamente ed anche per la passione religiosa ad una sorella di mio padre, suora di clausura, che non ho mai conosciuto. In effetti sia di figura che di viso e atteggiamenti sembra proprio una suorina, anche se le rare volte in cui si lascia vestire, pettinare e truccare come si deve è veramente carina e, incredibile, anche molto sexy. Non capisco perché non si sia fatta suora anche lei, forse perché da sedicenne era innamorata di un gondoliere che l’ha sedotta (o forse, conoscendola bene, è più probabile che sia stata lei a sedurlo) ed è scappato in America per sottrarsi alle ire dell’Ammiraglio. Sospetto cha abbia ancora contatti con il gondoliere in fuga - che esercita con successo la professione con un’autentica gondola nel laghetto di un’importante città - forse spera che lui torni o che le chieda di raggiungerlo; ipotesi molto improbabile con tutti i soldi che guadagnerà e con le donne desiderose di vivere un’avventura “Venice style” su una vera gondola e con un vero gondoliere! Comunque la sua insana passione per i gondolieri è rimasta intatta: spesso l’ho vista, mentre sgranava il rosario, ferma sulla riva del Canal Grande a contemplare rapita una gondola di passaggio, anche con conducenti piuttosto anzianotti e di certo non avvenenti: evidentemente la maglia a righe bianche e blu ed il cappello di paglia con la fascia rossa sono sufficienti ad accendere la sua fantasia morbosa.
“Ti ringrazio Giuliana, dirò almeno sei Avemarie, speriamo che funzioni anche con me che ho poco a che fare con i gondolieri.”
“Si, stai tranquilla, ci penso io raccomandarti a lui, ascolta sempre le mie preghiere.”
“Sarà, – interviene Rosetta che sta sparecchiando – se vede che non te me ghè racomandà abastansa, a mi nol me ga mai fato quel che go chiesto, forse ghe piase solo i siori e i gondolieri!”
“Bene – dico io - adesso ci vogliono le raccomandazioni anche con i santi, non bastavano quelle che purtroppo sono spesso necessarie per trovare un lavoro decente!”
Mentre Giuliana, inorridita da tali bestemmie, si fa un segno di croce, mio padre insiste: “E a parte le tue invenzioni, come va con i tuoi capi tedeschi?”
“Direi molto bene, anche se tra loro ci sono persone molto diverse, sia professionalmente che nei comportamenti, con alcuni mi sento pienamente a mio agio, con altri meno.”
“Io li ho visti molto spesso con atteggiamenti arroganti, ti ricordi Titti di quel generale che abbiamo conosciuto a Berlino, avrei voluto dargli un pugno in faccia per i suoi commenti sulla nostra storia patria, per fortuna c’eri tu a calmarmi!”
“Si vede che hai incontrato solo quelli sbagliati, ti farò conoscere io qualcuno a posto.”
4
Fortunatamente il pranzo finisce, per un mese siamo tranquilli, ce ne potremo stare in pace a Bologna.
Dopo un’oretta di “ciacole” con mia madre e mia sorella per informarci sulle ultime novità e sui pettegolezzi della vita veneziana, io ed Aurelio ci ritiriamo in camera per un riposino.
E’ l’occasione propizia per verificare se l’irresistibile “aura” erotica di Lucrezia funziona ancora. [2]
Corro in sala, per fortuna è deserta, stacco con fatica dalla parete il grande quadro di Lucrezia, lo appoggio rovesciato sul tavolo. In effetti in un angolo della tela vi sono delle tracce giallastre, piuttosto schifose sapendo che si tratta dei suoi umori corporei presi in tutti i momenti delle fasi lunari. Prendo un fazzoletto, lo inumidisco con la saliva, lo strofino energicamente sulla tela. Rimetto a posto il quadro mentre Lucrezia mi guarda divertita. Torno in camera, Aurelio sta russando sonoramente, gli appoggio il fazzoletto sotto il naso e aspetto fiduciosa il miracolo, ormai di questo si tratterebbe dato l’andazzo ormai esclusivamente fraterno del nostro rapporto. Encefalogramma e … il resto assolutamente piatti, nessuna reazione, a parte uno starnuto! E’ meglio rinunciare, forse potremmo provare con un viaggio a Lourdes, chi lo sa!
PROSEGUE ……………………...